L'alimentazione

Il patrimonio culinario più arcaico delle comunità walser di Gressoney e Issime risente delle origini alloctone dei gruppi di stirpe alemanna e con il passare dei secoli ha subito delle sensibili variazioni. I cambiamenti dei gusti e delle abitudini per quanto riguarda i cibi e le bevande denotano come anche in questo settore abbiano avuto luogo dei fenomeni di sincretismo, di acquisizione  e di fusione che si collegano ai frequenti casi di contatto con altri gruppi di popolazione dovuti in buona misura ai flussi migratori.

Altri cambiamenti sono stati indotti dalle variazioni climatiche, dal modificarsi delle coltivazioni, dalle innovazioni in campo zootecnico e nei regimi produttivi in seguito allo sviluppo della mobilità di lavoro, segnatamente dell’artigianato a Issime e delle pratiche mercantili che furono proprie dei krämra gressonari tra il XV e il XIX secolo. E’ il caso di ricordare che i modelli alimentari più antichi, come quelli considerati più tradizionali, si adeguano al principio della frugalità, valore utilizzato di regola per contraddistinguere gli atteggiamenti delle genti alpine di fronte al cibo. La frugalità designa un tipo di consumo alimentare essenzialmente basato sui cereali e in genere sui frutti della terra, in parte spontanei, oppure prodotti da specie coltivate. Il nutrimento ed il vivere quotidiano erano fondati sull’equilibrio tra i prodotti della terra, l’allevamento del bestiame e la caccia. I principali prodotti della terra, oltre alle erbe e alle verdure, erano, prima della patata, la segale  e l’orzo che crescevano fino a 1800 metri  e venivano seminati  in zone generalmente ben esposte al sole e su terrazzamenti sorretti da muri in pietra.  I terrazzamenti sono strutture murarie di sostegno delle terre che servono a mitigare la pendenza e a fermare l’erosione delle acque. I covoni raccolti a fine estate si stendevano sugli ampi balconi delle case e si lasciavano seccare sino a novembre. La trebbiatura avveniva a novembre nel corridoio posto tra la dispensa ed il fienile.  Dopo la trebbiatura e la separazione dei chicchi dal loro guscio, il grano, ancora umido, non poteva essere macinato subito ed era soggetto a maturazione. Tale operazione avveniva negli appositi stadel, edifici in legno isolati dal basamento da pilastrini sormontati da un disco in pietra liscia, aventi la funzione di permettere l’areazione  e di impedire l’accesso ai roditori. Il frumento, il granoturco, il riso e il vino  che non crescevano né a Gressoney né a Issime, venivano importati dal fondo valle.   

Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX venne seminata per la prima volta la patata, alimento frugale per eccellenza.  Sebbene le patate contengano solo un sesto delle proteine della segale, la loro combinazione con i latticini garantiva una nutrizione sufficiente  e su una superficie di cento metri quadrati coltivata a patate si otteneva una quantità di calorie tre volte superiore alla stessa superficie  coltivata a segale.      
Ogni famiglia si dedicava all’allevamento e alla cura dei bovini, caprini, ovini, conigli, pollame, un suino ed alla lavorazione del latte e dei suoi derivati quali burro, formaggio e ricotta, in quanto erano di vitale importanza. Si otteneva la carne cacciando camosci, lepri, marmotte, pernici o macellando in autunno capre, pecore ed un maiale. La carne tagliata a pezzi, pressata sotto sale in una tinozza, doveva durare per tutto l’inverno, come le cosce che si affumicavano. La caccia veniva esercitata con i mezzi allora a disposizione: lance, frecce e trappole. Non vi erano norme e calendari che la disciplinassero, non si uccidevano le femmine con i piccoli e il termine bracconiere non esisteva. Il numero dei capi di bestiame che ogni famiglia poteva mantenere, era dato dal rapporto tra il quantitativo di foraggio falciato durante l’estate e l’estensione dell’alpeggio. Le carni occuparono un posto importante sulle tavole festive e su quelle imbandite in occasioni cerimoniali e rituali. Per secoli il loro consumo in misura straordinaria, come quello dello zucchero, del caffè, delle spezie e del vino, si associa all’idea di un tempo straordinario chiamato a interrompere la monotonia dei giorni sempre uguali, di un tempo che segna le partenze e i ritorni  degli emigranti, dedicato ai piaceri della convivialità e della condivisione.       
Con il declino dell’agricoltura e dell’allevamento e con il progressivo veloce sviluppo del terziario turistico e del settore della ristorazione, le abitudini alimentari e  i modelli dietetici della popolazione alpina si sono modificati in misura anche sensibile.

 Invitiamo tutti gli interessati a conoscere le caratteristiche culinarie delle nostre comunità nei volumi “Cultura dell’alimentazione a Gressoney” e “Cultura dell’alimentazione a Issime” editi dal Walser Kulturzentrum nel 1998.       

Minestra verde - Issime

2,50 l di acqua

150 g erbe dei prati (ortiche, scabiosa, silene, raperonzolo, primula, non ti scordar, spinacio selvatico, acetosella, foglie di fragola ecc.)

1 cipolla

200 g patate

1 dl latte

200 g riso

30 g burro

sale

Far bollire per 10 minuti le patate con le erbe in acqua salata, aggiungere poi il latte, il burro e il riso.

Minestra di erbe primaverili - Gressoney

2,5 l acqua

2/3 patate

erbe dei prati : ortica, tarassaco, primula, alchemilla, raperonzolo di Haller, germoglio di Sambuco, viola mammola, foglie di lampone e di fragola, piantaggine, spinacio selvatico, silene, orecchio d’asino, romice alpino, acetosella, farfaro, borragine, erba limoncina, nepeta, lipistico, foglie di San Pietro, erba cipollina, millefoglie.

1 manciata di riso a testa

burro /olio / lardo

sale

Per preparare una buona minestra, occorre una dose di erbe molto tenere proporzionata al numero di commensali, si raccomanda di non esagerare con la quantità di ogni erba. Buttare la verdura dopo averla accuratamente lavata, nell’acqua in ebollizione con le patate, continuare la cottura per 10 minuti circa e aggiungere il riso. Il condimento può consistere in burro, oppure olio, oppure lardo. A proposito di lardo, o si mette un pezzo intero in acqua fredda facendolo bollire una mezz’ora e lo si accompagna alla minestra, o si fa rosolare, tagliato a dadini e lo si aggiunge alla minestra scartando i ciccioli.

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